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Aurora Fornuto, I ricordi al di sotto di tutto

(...)Nei suoi video e nelle sue dichiarazioni Amaducci insiste soprattutto sulla differenza dell’immagine elettronica, la cui natura tecnica le conferirebbe un carattere malleabile e metamorfico, quella instabilità, labilità, permeabilità, che ben rappresenta, tra l’altro, il funzionamento della nostra stessa memoria.
Nelle sue realizzazioni Amaducci tenta di rendere questa peculiarità, individuando nel trattamento dell’immagine il segno distintivo di un’arte che trasforma non la realtà in ombre, ma le stesse immagini in ricordi di immagini. Opere come Fantasmi, Kiki Kali, L’urlo, che utilizzano segni forti come Antonin Artaud o Kiki de Montparnasse, si presentano come messa inonda di fantasmi, apparizioni, immagini-ricordo immerse o soffocate da pixel o geometrie digitali, come sono sempre tutte le immagini video. È interessante allora osservare come tale approccio, che è ciò che permette ad Amaducci di attraversare tutti i “generi” del video, venga applicato nei lavori su commissione per l’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, volti a restituire un contenuto storico preciso, memorie forti, quali le vicende legate al nazismo o le lotte operaie.
La finalità didattica che sta alla base di questi documentari, inseriti in collane che l’Archivio concepisce soprattutto per scuole ed enti pubblici, sicuramente costringe a frenare l’impulso manipolatorio di Amaducci, tenuto a rispettare le griglie di un discorso determinato. Ma, pur nell’ambito del tipico approccio del documentario tradizionale, che isola e svolge un soggetto privilegiando lo sviluppo cronologico e la completezza del dato informativo, l’intervento elettronico di Amaducci consente di vitalizzare i temi, indicando soluzioni efficaci di “impaginazione” di materiali storici. Ne Il giudizio di Norimberga ad esempio, attraverso l’eliminazione del commento fuori campo, la musica, la compresenza di quadri visivi e un uso articolato di testi scritti, l’autore riesce a coniugare informazioni e drammaticità del tema, tenendo alta l’attenzione dello spettatore.
L’intervista e il materiale d’archivio, i due canali tradizionali con cui il video si avvicina alla storia, sono riproposti in modo da attivare percorsi di lettura più ricchi e legati al presente: in Work in Progress le immagini che riguardano le lotte operaie torinesi del ’15 e del ’73, percorrono letteralmente i seducenti spazi abbandonati e in rovina della contemporanea era postindustriale, che diventano ne Cattedrali della memoria il set in cui far agire i quadri di Massimo Lai, carichi a loro volta di memoria pittorica, che appaiono e scompaiono, come ricordi frammentati, tra vetrate distrutte e pezzi di storia ritrovata.


in Valentina Valentini (a cura di), Prospetti, video d’autore 1986-1995, Roma, Gangemi Editore, 1995, pg. 153.

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