Pubblicazioni
La teoria e la pratica sono due dimensioni inscindibili che si alimentano l'un l'altra. Se si utilizza un linguaggio che sfrutta la tecnologia, non si può pensare che l'una possa esistere senza l'altra. Sono due campi diversi e in osmosi che mi permettono di fare la stessa cosa: ricerca.
Theory and the practice are two inseparable dimensions that feed each other. If we use a language that exploits technology, we cannot think that one can exist without the other. They are two different fields and in osmosis that allow me to do the same thing: research.
RECENSIONI
Screendance. Sperimentazioni visive intorno al corpo tra film, video e computer grafica.
Screendance di Alessandro Amaducci
Videoarte, multimedia, fotografia, ma anche teatro e musica, tra scena e schermo, sono amori di lunga data per Alessandro Amaducci, torinese, docente universitario e colto vjay, che pubblica ora un testo esaustivo sulla videodanza e dintorni, analizzando epoche, generi, tipologie.
Screendance, Sperimentazioni visive intorno al corpo tra film, video e computer grafica, edito da Kaplan, non trascura nessun aspetto delle differenti e molteplici forme della videodanza. Già il titolo, Screendance, ad ampio raggio, è molto meditato e ben scelto, a ragion veduta.
Il cinema degli albori è notoriamente “amico” della danza, dei corpi e delle forme in movimento e Amaducci apre il suo ricco spaziando da Loie Fuller, l’americana che brevettò le sue schede illuminotecniche, incantando gli Impressionisti e i Futuristi, fino a Walt Disney con la sua danza macabra (Silly Symphony, Skeleton Dance, 1929,), dalla pioniera Maya Deren, danzatrice nella compagnia afroamericana di Katherine Dunham, maestra di James Dean, a Norman McLaren con le sue animazioni (Pas de deux), per indicare solo i nomi più universalmente noti quanto ai filmmaker del passato.
Sono stati loro gli apripista perché poi i coreografi stessi passassero dietro la macchina da presa e la telecamera, i postmoderni americani come Yvonne Rainer (Trio A, 1978 ), i francesi della nouvelle danse come il neo-dadaista Philippé Decouflé, i maestri del teatro-danza, come Pina Bausch in Germania (Die Klage der Kaiserin, 1990) e Wim Vandekeybus in Belgio.
L’autore distingue tra racconti danzati, quelli ad esempio dei DV8 (deviati) inglesi e danza simbiotica con il film, come nel caso dei canadesi La La La Human Steps.
Si analizza il lavoro sperimentale, video-installativo del belga Thierry De Mey, fratello di una delle danzatrici del gruppo Rosas di Anne Teresa De Keersmaeker e collaboratore di tanti coreografi, tra cui il geniale americano William Forsythe (One Flat Thing reproduced, 2007); si parla di cinema digitale e arte della documentazione guardando a Charles Atlas, “The Guy with the Camera who loves Dance”e Elliot Caplan per Cunningham, Peter Greenaway (M is for Man, Music and Mozart, BBC 1991 e Prospero’s Books con Michael Clark come Caliban), ma anche a una documentarista originale e complice come Clara Van Gool (Enter Achilles, DV8, 1996).
Quanto a videoarte e videodanza, immancabile lo spazio riservato a Nam June Paik, pioniere di lavori fondanti con Merce Cunningham (Merce by Merce by Paik) e alla coppia N+N Corsino, portabandiera della scuola di pensiero francese.
Videodance e videmusic, ovviamente, si sono incrociate e continuano a farlo: un caso per tutti David LaChapelle per la superstar classica Sergei Polunin nel video diventato ultra-virale in rete con 14.500 visualizzazioni (Take me to the Church su musica di Hozier)
Screendance e fashion movie si sono ibridati molto volentieri. E in tv una serie storica come Fame, college durissimo per giovani artisti, ha fatto della danza su schermo un genere, da cui deriva anche il dibattuto Amici di Maria de Filippi.
La motion capture è ovunque al cinema. Basterà ricordare, in palcoscenico, Biped di Merce Cunningham (1999), sul crinale tra naturale e artificiale.
In Dancescreen di Amaducci c’è molto di più, ma la timeline delle opere e la bibliografia sono un tesoro di per sé, senza dimenticare le risorse web per lasciare aperto il tema di un volume di ampia e pregiata caratura.
Elisa Vaccarino, https://www.fyinpaper.com/alessandro-amaducci-suo-mondo-visivo/, 2021
Screendance. Un libro racconta la danza sullo schermo
Si può tornare all'inizio del secolo scorso per farsi affascinare dalla Screendance, o cercarla nelle piattaforme online mainstream dove oggi si fa largo. Il torinese Alessandro Amaducci ha raccontato la"danza sullo schermo” nel suo libro "Screendance. Sperimentazioni visive intorno al corpo fra film,video e computer grafica", per i tipi di Edizioni Kaplan.
Docente al Dams dell'Università di Torino e a sua volta videoartista, Amaducci si è addentrato in una ricostruzione storica di questo genere, che raccoglie le opere audiovisive che, realizzate su qualsiasi supporto, abbiano come oggetto la danza. Ha percorso i lavoro di artisti, registi, videoartisti che nel corso dei decenni hanno sperimentato il connubio fra corpo, danza, immagine, suono, movimento in opere realizzate in pellicola, video, digitale.
“Il mio interesse nacque quando nel 1993 assistetti a uno spettacolo della compagnia La La La Human Steps al Teatro Regio, rimanendo affascinato dall’unione fra immagine video e danza contemporanea, racconta lo scrittore. Ha ripercorso il genere a partire dagli anni Trenta del secolo scorso a partire da quella che definisce essere “la madre”: l’autrice di cinema sperimentale statunitense Maja Deren con le sue coreografie di danza pensate solo per la cinepresa, impossibili da realizzare sul palcoscenico. Ed è arrivato ai giorni nostri, in cui “la Screendance è dappertutto”. “Un colosso come Netflix – sottolinea Amaducci – ha fatto realizzare a Paul Thomas Anderson un cortometraggio con le musiche di Thom Yorke, che unisce suoi brani musicali alla danza contemporanea”.
La Stampa Torino Sette
Videoarte. Storia, autori, linguaggi.
Risale al 2014 la pubblicazione del libro videoarte. storia, autori, linguaggi, di Alessandro Amaducci, il quale è non solo un osservatore attento ma anche un protagonista dello scenario dell’arte video in quanto artista - dal 1989 ha realizzato ed esposto numerosi lavori - e inoltre docente nel laboratorio interdisciplinare del Dams di Torino e autore di numerosi saggi.
Nella controcopertina di questo libro Amaducci si definisce dunque videoartista e per il titolo usa il termine videoarte, affrontando direttamente la definizione di uno specifico campo dell’arte con proprie caratteristiche, tecniche e vicende su cui ci si interroga ancora. La videoarte ha infatti accumulato nel circa mezzo secolo della sua storia un quantitativo interessantissimo di denominazioni – corrispondenti alla varietà di tecnologie e interpretazioni in continuo mutamento - che Amaducci sintetizza lucidamente scrivendo: “per video si intende quel vasto panorama tecnologico di esperienze che usano l’elettronica e il digitale; dall’era delle cosiddette tecnologie analogiche, per passare al digitale fino a includere l’alta definizione digitale. Ma il territorio del digitale si estende non solo alla gestione di immagini e suoni in movimento derivati da riprese effettuate con telecamere o con altri stratagemmi tecnologici, ma anche in primo luogo a tutto l’audiovisivo che viene costruito dalla macchina-computer, e quindi all’animazione digitale, definita anche computer grafica”.
Ricco di informazioni, analisi e interpretazioni il libro assorbe una quantità di dati da un campo di studi molto vasto e articolato cui l’autore fa disinvoltamente riferimento nella bibliografia conclusiva, mentre nel testo le note indicano via via i siti dei videoartisti di cui parla, e che sono tantissimi, affascinanti ed eterogenei, tanto da comporre un panorama diversificato nel tempo e nei vari contesti.
Il libro è diviso in capitoli che affrontano la videoarte nella scansione canonica dei decenni (le radici e poi anni ‘70, ‘80, e dai ‘90 a oggi), individuando cardini e punti di rottura che generano cambiamenti importanti non solo nel modo di fare arte e videoarte ma anche di fruirla, collezionarla, conservarla. Dal video monocanale alla diretta e all’installazione e alla computer grafica –con un vertice segnato dalla fine della tecnologia analogica e dall’affermazione del digitale.
All’interno di questa scansione cronologica tradizionale la narrazione delle estetiche e dei linguaggi (giustamente al plurale) della videoarte sono affidati a una serie di medaglioni sui singoli artisti: con una certa predilezione, sembrerebbe, per il contesto internazionale a scapito delle presenze di videoartisti italiani (peraltro già trattati da Amaducci in altri saggi), e con approfondimenti sulle connessioni con la musica e con il cinema. Nel contesto di questa struttura che appare a volte omologante rispetto alla grande varietà di indagini e soluzioni interne alla videoarte, il libro è denso di riferimenti, scorre con intelligenza, sviluppando la complessità multidisciplinare dei temi e degli artisti trattati nei termini di una scrittura chiara e lineare.
Viene da chiedersi, leggendolo, cosa spinga un artista a scrivere una storia così dettagliata sulle componenti estetiche e sulle pratiche che sono consuete alle proprie espressioni creative. A prima vista questo libro suggerisce la figura del prof. del Dams, forse più che dell’artista, ma poi emergono via via i codici più sottili del discorso critico, cioè l’attenzione e la messa in risalto per quelle che Amaducci definisce “ambivalenze”. Ambivalenze tra realistico e irrealistico, tra astrazione e referenzialità, tra pittura e media tecnologici. E se questi slittamenti ondivaghi sono per Amaducci alcune delle chiavi di lettura fondamentali dei percorsi della videoarte, essi affondano le radici nella sua attività artistica trovando riscontro nei video e nelle videoinstallazioni; cioè nelle istanze simboliche e nei processi sperimentali che egli continuamente inventa o adotta, permeati di oscillazioni tra l’onirico e il realistico, la macchina e il corpo. Alla ricerca del segreto di immagini e linguaggi mutanti che sempre tornano su se stessi, nel territorio delle interferenze tra inconscio e tecnologia.
Silvia Bordini, http://sdefinizioni.altervista.org/sdefinizioni_art_mag/recensioni_52.html
Computer grafica. Mondi sintetici e realtà disegnate.
Nel panorama della grafica computerizzata e dell'animazione si è assistito, negli ultimi decenni, alla proliferazione di stili e tecniche che hanno diversificato l'estetica ed ampliato l'immaginario di tali forme di rappresentazione.
Grazie allo sviluppo di software e tecnologie digitali avanzate ed alla loro commistione con un approccio più tradizionale, gli autori hanno avuto modo di sperimentare nuovi linguaggi e modalità espressive che spaziano dal disegno stilizzato alle immagini iperrealistiche della riproduzione fotografica.
Alessandro Amaducci propone in questo volume una mappatura dello scenario contemporaneo di quella disciplina che comunemente prende il nome di computer grafica, definita dall'autore stesso come estensione dell'animazione classica.
La ricerca condotta nel testo sottolinea un aspetto interessante nell'evoluzione delle immagini digitali che ha portato al tridimensionale e va verso la realtà virtuale: la scoperta di nuove modalità di approccio al disegno ed una sua reinterpretazione resa possibile attraverso nuove forme di rappresentazione. Nel percorso affrontato dall'autore si incontrano esempi classici di produzione di immagini, opere tratte dalla storia dell'arte e della grafica; da un'introduzione al concetto di simulacro si passa infatti a trattare di punto, linea e superficie artificiali, di astrazione, di artisti ed oggetti, di disegno e riscoperta del bidimensionale. La prospettiva adottata ripercorre negli anni le evoluzioni del disegno e dell'animazione che hanno portato oggi alla configurazione della computer grafica e dell'audiovisivo come territorio di incontro di linguaggi espressivi diversi.
I protagonisti in Computer grafica, Mondi sintetici e realtà disegnate non sono cartoon distribuiti a livello internazionale né grandi produzioni dell'industria cinematografica degli effetti digitali, piuttosto artisti, autori, designer o registi che hanno portato avanti la propria ricerca realizzando prodotti meno noti ed arricchito il proprio stile sperimentando con le possibilità introdotte dalle nuove tecnologie digitali.
http://www.paperideas.it/paperzine/news/3989-Computer_grafica?locale=it_IT
Anno zero. Il cinema nell’era digitale.
La mutazione digitale dell’audiovisivo, incluso il cinema, è l’oggetto del saggio di Alessandro Amaducci, che offre un’originale prospettiva teorica e analitica.
L’attenzione per l’ineluttabile trasformazione che l’introduzione della tecnologia digitale ha apportato nel mondo del cinema si evince dal numero di saggi che indagano e affrontano questa trasformazione che rischia di minare lo “specifico filmico” del cinema.
Una nuova dimensione che ridisegna i rapporti di interrelazione tra produzione, distribuzione e fruizione. Modi che forse erano immaginabili, ma che ormai sono attuali, o lo stanno divenendo, e che, per usare un’immagine iperbolica, stanno riducendo il rapporto tra produzione e fruizione da “uno a molti” a “uno a uno”.
Un rapporto che una volta avrebbe trovato schieramenti tra il vecchio e il nuovo, tra apocalittici e integrati. Ma come Alessandro Amaducci sottolinea nel suo saggio Anno Zero. Il cinema nell’era digitale (Lindau) la storia del cinema è sempre stata attraversata da evoluzioni e innovazioni tecnologiche che hanno avuto il solo merito di poter offrire nuove possibilità espressive. Ma la svolta digitale rappresenta un punto epocale per il cinema, che potrebbe affrancarsi definitivamente dal suo specifico fotografico, dal suo processo chimico di impressione della pellicola e dal suo movimento “ingannevole”.
Amaducci sostiene, e quell’“anno zero” del titolo lo prova, che una nuova era è cominciata, un’era digitale che rappresenta la definitiva archiviazione della pellicola in favore di un abbraccio definitivo del codice binario. Senza fare ironie, nel momento in cui scriviamo la Kodak ha richiesto l’amministrazione controllata per bancarotta. Se non è questo un segno emblematico di come la svolta elettronica e digitale ha inciso sul mondo cinema…
Amaducci, che è un videoartista, ripercorre in maniera compiuta e cronologicamente esatta le tappe salienti della svolta elettronica soffermandosi in particolare su ciò che di più significativo è successo negli anni Ottanta e Novanta. Una cavalcata storica che però si mescola di continuo con un discorso teorico e critico che l’autore inserisce insieme a considerazioni e commenti per non offrire una mera panoramica storicistica.
Un discorso a parte Amaducci lo riserva alla computer grafica, offrendo un punto di vista concettuale e teorico per niente scontato, dove le immagini in CGI «sono la concretizzazione matematica di un pensiero, la visualizzazione di un modello e possono fare a meno dell’oggetto di riferimento».
Diversi autori vengono portati a esempio come testimonianze dei passaggi fondamentali dell’uso del digitale nel cinema, da Peter Greenaway a Francis Ford Coppola, Mike Figgis, David Lynch, George Lucas e altri. Dove non è difficile capire come il digitale abbia sconvolto in senso positivo l’atto produttivo del prodotto audiovisivo fornendo maggiore libertà di movimento e maggiore leggerezza logistica, un processo lento che ha dovuto vincere parecchie resistenze ma che lentamente si è infiltrato in tutti i passaggi della produzione. Come Amaducci conclude, è rimasto solo un ultimo ostacolo che sembra essere molto ostinato: quello della distribuzione. Una distribuzione miope e ancora troppo costosa che opera in maniera indiscriminata una selezione puramente commerciale e industriale, di fatto bloccando la definitiva affermazione del digitale. Un ostacolo contro cui Amaducci si scaglia con una certa veemenza poiché il blocco non è solo fattuale ma in un certo senso anche estetico poiché non permette una realizzazione piena, insomma non fa fare il passo verso l’anno uno. E non è roba da poco.
Da leggere.
Massimiliano Pistonesi http://www.filmakersmagazine.it/archives/7056
Il film è morto, il film inteso come pellicola non ha più ragion d’essere, al di fuori di fini meramente distributori e quindi economici, per esistere.
Il videoartista Alessandro Amaducci traccia, in questo saggio e in modo singolare, la storia di un cambiamento, di una rinascita. L’Anno Zero segna il punto d’inizio dell’era del digitale dopo la cesura con il passato della pellicola. Attraverso una ricostruzione storica attenta e precisa l’autore pone in evidenza quelle tendenze artistiche e tecnologiche che hanno evidenziato, in maniera puntuale, questo percorso di sperimentazione, di innovamento e segnatamente sottolinea due momenti precisi: gli anni Ottanta con il video analogico , e gli anni Novanta con il digitale. Percorso, questo, guidato dalla scelta di segnalare ed evidenziare quelle sensibilità artistiche che hanno saputo meglio leggere il corso del tempo e comprendere quei mutamenti tecnici, e quindi mettere in luce il lavoro prima in campo analogico con autori del calibro di Edwars, Coppola, Greenaway, Wenders e poi nel campo del digitale con Sokurov, Figgis, Mann, Von Trier e Lucas.
Questi sono solo alcuni degli autori presenti nel saggio, il cui lavoro è ben approfondito in cui si evince come questi abbiano realmente assunto quello spirito di libertà espressiva e produttiva tanto conclamato.
Troupes leggere e sistemi ad alta definizione consentono in parte di abbassare i costi di produzione dando la possibilità di sperimentare in tutti quei campi multimediali che altrimenti non avrebbero avuto opportunità di esistere. Contestualmente, lo sviluppo dell’hardware digitale ha permesso anche nel settore mainstream la possibilità di riconfigurare completamente gli standard di realizzazione dei film a cominciare dai piani di lavoro fino ai set.
Nella nuova civiltà delle immagini, a cui l’‘Uomo Audiovisivo’ è sempre più dipendente, non abbiamo più una registrazione del visivo inteso come ripresa, ma una vera e propria creazione dell’immagine, tanto distante dalla realtà quanto vicino alla percezione che si ha di essa. Si passa quindi da un’estetica della forma a un’estetica della suggestione.
Il saggio termina con una dura invettiva al sistema distributivo visto come ultimo grande baluardo alla diffusione di un vero mercato digitale tecnologicamente oggi possibile, ma compresso a causa dei vecchi sistemi produttivi non intenzionati ad adeguarsi in qunato la ‘rivoluzione’ comporterebbe, in termini di posti di lavoro e in aggiornamento di sistemi, costi non sopportabili.
http://www.close-up.it/spip.php?article3184
Alessandro Amaducci è un personaggio ben noto - e di lungo corso - nel panorama video italiano: già videoartista nei primi anni '80, poi autore di clip e spettacoli multimediali, critico (insegna al DAMS di Torino) con alle spalle diversi testi sull'estetica e sulla tecnica dell'immagine elettronica e digitale... Insomma, la persona giusta - per competenza ed esperienza - per una trattazione dell'argomento a 360 gradi, come è necessario in un'era che ha visto e continua a vedere la commistione di generi, linguaggi e mezzi, tutti fusi ormai nel segno del digitale.
In questo interessante e completo saggio - cui manca forse una veste grafica più accattivante, più ricca di immagini senz'altro - Amaducci analizza, spiega, commenta, traccia un percorso storico, tecnico e stilistico dell'utilizzo dei media e dei formati alternativi alla pellicola: dal video analogico al video digitale, dall'Alta Definizione analogica a quella digitale. "Film is dead - dice - ovvero la pellicola è morta. Nell'era digitale il cinema (ri) parte da zero."
Giacomo Puma, Tuttodigitale n. 72
L’avvento della "nuova era" delle immagini in movimento trasfigurate in immagine di sintesi
Negli ultimi anni il numero di pubblicazioni riguardanti il video digitale è certamente cresciuto. Prima sulla scia dei film d’animazione digitali e degli effetti speciali, più di recente per un diffuso interesse per i film girati in DV e in altri formati, fino all’alta definizione.
Questo Anno Zero si pone certamente in questo filone, e attraverso una precisa cronologia, ripercorre la storia dell’immagine elettronica – analogica prima, digitale poi – insieme ad autori diversi per formazione e intenti come Zbigniew Rybczynski, Peter Greenaway, George Lucas, Aleksandr Sokurov, Mike Figgis, David Lynch, Michael Mann, Lars von Trier e altri. L’intenzione è quella di mostrare un percorso che dalle prime sperimentazioni di video applicato al cinema (si parte dall’introduzione del video assist sul set di Hollywood Party di Blake Edwards) arrivi all’alta definizione, e al superamento della pellicola per una sua definitiva "consegna" agli scaffali delle cineteche. Da qui la nascita di un "nuovo" cinema interamente digitale (il fatale "Anno Zero" del titolo, appunto).
Il percorso disegnato dall’autore è denso, e tenta di affiancare al profilo storico un discorso teorico sul digitale e sull’immediato futuro del cinema. Attraverso i film presi in considerazione, si delinea il passaggio da un’iniziale coesistenza di più formati (pellicola, video analogico, digitale in bassa e alta definizione) e soprattutto di più linguaggi (frammentazione della narrazione e dell’immagine-quadro in primis), a un "consolidamento", per così dire, dell’uso del digitale nel cinema, fino alla definitiva digitalizzazione di tutto il processo produttivo, dalla "nascita" del primo frame alla proiezione.
L’indiscusso pregio di questo volume è quello di raccogliere testimonianze e modi di concepire il digitale anche molto differenti tra loro, e di presentare i problemi teorici che molti di questi "film" (virgolette d’obbligo) portano a galla, insieme a nuovi processi di mercato. Vi è però la tendenza ad appiattire un orizzonte di discussione quanto mai stratificato su un unico tema: "la pellicola è morta". Che la pellicola sia morta o moribonda, viene ormai dato per scontato. Altrettanto scontato, ma meno noto ahinoi, è il fatto che siano i distributori cinematografici a frenare (in parte o del tutto) lo sviluppo definitivo di un cinema interamente digitale. Manca forse un approfondimento delle differenze tra i vari autori in questione, e più in generale un ampliamento del discorso di tipo economico/produttivo legato a quello estetico/linguistico, almeno nei casi dove il digitale si presenta come mero sostituto della pellicola (tradizionale cinema di finzione girato in HD), e pronto a essere integrato in nuovi vincoli industriali. D’altronde quando un’unica società può fornire le tecnologie di ripresa, di post-produzione, di proiezione e distribuzione in sala, e allo stesso tempo può pubblicare e distribuire l’home-video e anche costruire l’hardware per la sua fruizione casalinga (TV, DVD e home theatre), probabilmente anche i processi distributivi (via satellite, internet e quant’altro) saranno pienamente integrati nel mercato. Piuttosto si potrebbe sperare che insieme a questo mutamento – o "migrazione" se volete – di supporto, anche il linguaggio del cinema mainstream sappia rinnovarsi, magari sulla scia degli autori citati in Anno Zero.
http://www.cinemavvenire.it/editoria/anno-zero-il-cinema-nellera-digitale
Dopo avere pubblicato studi sull’immagine elettronica e sulla videoarte (da sempre luoghi prediletti della sua riflessione teorica e della sua creatività), Amaducci “ritorna” a interrogarsi sul cinema, sostenendo però che dobbiamo abituarci a usare la parola cinema in modo estensivo, per quello che etimologicamente significa, ovvero “immagini in movimento”. Il sottotitolo dato al volume è un po’ riduttivo: nell’analizzare in che modo il cinema in pellicola abbia interagito con le nuove tecnologie, Amaducci risale agli anni Sessanta di Hollywood Party (primo esempio di video assist integrato durante le riprese), passando per le immagini elettroniche sperimentate negli anni Ottanta da Coppola e Wenders, o per le ricerche di Greenaway sull’Alta Definizione Analogica. Il digitale si presenta come una svolta epocale anche rispetto all’immagine elettronica, grazie all’introduzione del montaggio non lineare, del compositing, dell’immagine di sintesi e della rielaborazione dell’immagine analogica in post-produzione. Nella seconda parte del volume, Amaducci illustra in che modo questa rivoluzione in atto “ricada”, non solo produttivamente ma anche esteticamente, sul cinema del grande schermo. Coniugando alla consueta competenza tecnica una raffinata qualità interpretativa, l’autore esplora le sperimentazioni digitali di Lynch, Rohmer, Rodriguez, von Trier, Kiarostami, Michael Mann offrendo con semplicità e chiarezza di scrittura nuovi elementi di comprensione e di analisi.
Silvio Alovisio, La rivista del Cinema 52, Ottobre 2007, Museo Nazionale del Cinema di Torino
Le libertà del digitale.
"Per me non c’è una grande differenza fra il film e il video. Uno è la mano sinistra, l’altro è la destra». Questa dichiarazione di Jean-Luc Godard, insieme ad altre di Francis Ford Coppola, Wim Wenders, Bill Viola, Nam June Paik, apre il bel volume di Amaducci incentrato su quei film «interamente o quasi interamente girati, montati e postprodotti in digitale,ovvero quelle produzioni che hanno deciso di abbandonare il supporto della pellicola a favore di formati elettronici e digitali di vario tipo». Non,dunque, un’analisi sull’effettistica speciale e sulle meraviglie della computer graphic, ma una ricognizione ragionata, di taglio storico, che individua in alcuni, celebri titoli gli esempi più limpidi delle potenzialità tecniche e delle libertà espressive offerte oggi dal digitale: da «Un sognolungo un giorno» (1982) di Coppola a «L’ultima tempesta»(1991) di Peter Greenaway, da«Dancer in the Dark» (2000) di Lars Von Trier a «INLAND EMPIRE» (2006) di David Lynch. Con la prodezza balistica di «Arca russa» (2002), firmato da Alexsandr Sokurov (un unico piano sequenza di 90 minuti, reso possibile dall’alta definizione digitale), a concretizzare uno degli obiettivi più agognati della settima arte.
Paolo Perrone, Il tempo, 27 gennaio 2008
Music Video.
Che le forme audiovisive che commentano, accompagnano e dialogano con i brani di musica pop –i music video: guai a chiamarli “solo” videoclip!– siano uno dei prodotti più interessanti della contemporaneità ormai sono in pochi a dubitarlo. Simone Arcagni e Alessandro Amaducci affrontano la questione con attenzione, profondità e una rara immediatezza, in un libro che si fa leggere con la rapidità e la partecipazione di quei famosi “quindici minuti” che Warhol prometteva a chiunque: in fatto di musica e celebrità. La loro, i due autori se la dividono in base alle specifiche competenze: Arcagni, che è uomo e critico di cinema, prepara il terreno nella prima parte, tracciando una storia fenomenologica del music video, che si concentra soprattutto sui confini – con il cinema essenzialmente, ma anche con la cultura pop e postmoderna. Fa bene ricordare come il luogo comune dell’estetica da videoclip prestata al cinema sia una soluzione fin troppo facile, e che si tratta di un dialogo, di una reciproca influenza; ma si apprezza soprattutto il breve capitolo iniziale, dedicato alla musica visiva e alle esperienze di cinema e (in) musica, che ritrova nel rock movie e nel rockumentary i progenitori delle forme contemporanee. Amaducci, che è studioso e performer di videoarte, si occupa invece delle relazioni tra music video e arte contemporanea, con un’esauriente rassegna di debiti, prestiti e ibridazioni: tra nomi noti e notissimi –Robert Cahen, Nam June Paik, il duo Cunninham-Gondry– e piccole scoperte –almeno per i non addetti ai lavori–, si parla di videoarte, videodanza, musica elettronica e forme sperimentali. La giovane casa editrice torinese Kaplan mette un altro tassello nel suo catalogo piccolo ma estremamente curato: il libro è presentato nella collana One pm, che ospitava già il prezioso Il cinema postmoderno di Laurent Julier.
Andrea Bellavita www.labelmag.com
Alessandro Amaducci e Simone Arcagni analizzano il videoclip di Like a Virgin di Madonna come paradigma di un immaginario citazionista da un lato e di una nuova concezione di spettacolo dall’altro. La videomusic, fondendo musica e immagini, realizza peraltro una delle condizioni del cinema postmoderno secondo Jullier, ossia il «bagno di sensazioni», dove “sentire” conta più che seguire un racconto tradizionale. […] Il libro è una sintesi storica che mette ordine nelle mille ramificazioni che vanno dal film-concerto anni Settanta alla videoarte e ai clip di Gondry.
Alberto Pezzotta, Il Corriere della Sera
Banda anomala. Un profilo della videoarte monocanale in Italia.
La videoarte sta sempre più perdendo una connotazione precisa (o forse non ce l'ha mai avuta) per trasformarsi in una sorta di contenitore in cui convogliare qualsiasi manifestazione di creatività abbia a che fare con una ripresa video. Le forme poetico-visuali legate a questo strumento sono diventate numerose e sempre meno omogenee. Videoperformance, videoscenografie, videoadanza, videoinstallazioni, sono tutte firmule linguistiche che di volta in volta vengono utilizzate più con uno scopo descrittivo che con l'intento di procedere ad una seria ed articolata catalogazione di discipline, stili e discorsi espressivi. Come rapportarsi, inoltre, al fenomeno del videoclip musicale, via di mezzo tra prodotto commerciale/promozionale ed oggetto artistico che ha visto all'opera, dietro l'occhio elettronico-digitale, grandi registi, fotografi e artisti contemporanei?
Ben vengano dunqnue, in questo contesto, quegli studi storico-critici in grado di fare un po' di ordine attraverso un'analisi razionale di piccole porzioni di questo generico e multiforme settore delle arti. A tal proposito risulta decisamente interessante il breve ed agile volume intitolato Banda anomala, pubblicato dalla casa editrice Lindau. Il sottotitolo, Un profilo della videoarte monocanale in Italia, comunica al lettore quale sia il territorio esplorato dal videomaker e studioso torinese, il quale, oltretutto, propone un riassunto di carattere storico che prende avvio addirittura dal fenomeno generato in terra americana da personaggi del calibro di Marcel Duchamp, Man Ray e Max Ernst.
(...) Gran parte del libro comunque è occupata dagli approfondimenti relativi a singoli autori o a gruppi come Fabrizio Plessi. Gianni Toti, Studio Azzurro, Correnti Magnetiche e Theo Eshetu. Un capitolo conclusivo, a firma di Sandra Lischi, è infine dedicato proprio ad Alessandro Amaducci e al suo "fare artistico che sembra modellato su un'idea di palinsesto rapido, vario, aperto all'imprevisto quotidiano, mobile, che passa senza strappi dal registro dello spettacolo a quello della riflessione teorica, dal racconto e dalla poesia alla performance..."
m.g.d.b. http://www.cultframe.com/27/1608/3984/articolo_crediti.ASP? (2004)
Passo uno. L’immagine animata dal cinema al digitale.
Un percorso trasversale nelle varie sfumature del cinema di animazione
La prefazione del libro, edito da Lindau, chiarisce subito gli intenti della pubblicazione. Il volume, infatti, non si presenta come una storia dell’animazione, ma come una riflessione sul genere e sulle tecniche attraverso l’analisi di varie opere.
L’intento analitico di Passo uno è dato anche dalla sua origine. Il volume nasce da una serie di interventi dei due autori a un seminario sul cinema di animazione, e prende in esame da un lato l’animazione dei grandi Studios americani, dall’altro le diverse correnti sperimentali.
La prima parte si apre con il contributo di Giaime Alonge, che cerca di contestualizzare il cinema di animazione all’interno della storia del cinema partendo dalle parole di Ejzenstejn su Mickey Mouse. Il discorso si amplia poi prendendo in esame tutte le forme di animazione sviluppate dall’epoca del muto fino ai contemporanei film in digitale. Il saggio di Alessandro Amaducci, che costituisce la seconda parte del volume, invece, si concentra sui contributi che varie e molteplici avanguardie hanno fornito allo sviluppo delle tecniche di animazione da Méliès alla tecnica della pixillation.
L’animazione allarga in confini del cinema, e i saggi che compaiono in Passo uno, tengono anche conto di videoclip, videoarte, tecniche digitali e software che creano questa nuova dimensione dell’immagine. Il volume, inoltre, fornisce un’utile combinazione di storia della tecnica e cronologia delle opere che permette al lettore, attraverso questo percorso trasversale, di seguire l’evoluzione dell’immagine animata.
L’animazione, ora, è davvero l’ultima frontiera del cinema. Un confine che permette di andare oltre l’immaginazione grazie a tecniche che non riguardano solo l’arte cinematografica in senso stretto, ma che riguardano l’uso e il consumo delle immagini in tutte le loro forme.
Elena Oselladore http://www.nonsolocinema.com/Passo-uno-L-immagine-animata-dal_14611.html (2009)
Da Méliès all' era del computer: riflessioni sul cinema d' animazione Nell' era del computer, è ancora possibile separare il cinema tradizionale da quello d' animazione? Cioè: qual è davvero la differenza tra i nuovi «Star Wars» di Lucas, e «Monsters & Co.»? Un duo di professori del Dams di Torino, Giaime Alonge e Alessandro Amaducci, prova a rifletterci con un libro che congiunge il cinema delle origini e delle avanguardie storiche alla neo-astrazione digitale in 3D. In centosessanta pagine non si può ovviamente compendiare l' intera storia dell' animazione, ma gli autori sanno equilibrare le loro scelte, e realizzano uno strumento (con un neo: il superficiale segmento finale sui videoclip pop-rock), utile sia agli studiosi che ai neofiti. E se grazie a questo libro anche un solo lettore dovesse avvicinarsi alle opere di Ed Emshwiller o Yoichiro Kawaguchi, la missione potrà dirsi compiuta.
Mazzarella Filippo, Corriere della Sera, 20 agosto 2003
Il video digitale creativo.
Studioso e storico della videoarte, autore di una fitta manualistica teorica e tecnica ad uso di neofiti videomaker, ha insegnato l’arte del video creativo verrebbe da dire a una intera generazione, di fatto la sua generazione considerata la giovane età (37 anni). Ricercatore e docente al Dams di Torino, dopo vari interventi (come artista e come studioso) per volumi antologici e per cataloghi video, ha dato alle stampe per la casa editrice Nistri-Lischi (Collana Mediamorfosi diretta da Sandra Lischi) Il video digitale creativo, un volume che aggiorna sull’evoluzione digitale, una tecnica che ha ormai più di quarant’anni di storia come quella video. L’attenzione è diretta infatti proprio a quella “terra di mezzo”, come Amaducci spiega nell’introduzione, che è il video digitale, a metà tra il cinema e la sua tecnologia ottico-meccanica, la tecnologia elettronica e la tecnologia digitale (il computer), associandola però sempre a esempi emblematici e illuminanti di artisti video (Studio Azzurro, Rybczynski, Bill Viola) o di autori di videoclip (come Chris Cunningham) che hanno usato procedimenti di cui si entra nel dettaglio tecnico, che hanno proposto usi diversi della “composizione dell’immagine video” (feedback, sovrimpressioni, riquadri) o effetti particolari (filtri, distorsioni). L’universo del video digitale è esplorato nelle varie possibilità offerte dalle diverse apparecchiature, dalle libraries di immagini, dalle funzioni legate alla luminosità, esortando sempre a una “personalizzazione” del formato digitale. Non mancano preziose indicazioni sull’archiviazione delle immagini, singoli frame o il girato, e su come usare al meglio il viewfinder e gestire il preset (sfondi, texture). Il montaggio non lineare del video digitale occupa un’ampia sezione: come caricare le immagini e comprimerle, come combinare le diverse clip, come regolare la timeline, come calcolare i tempi per la renderizzazione, cosa aggiungere nella postproduzione.
Si legge tra le righe che l’analogico non ta ancora tramontando: l’ibridazione tra tecnologie è ancora un territorio tutto da esplorare. La scelta di un sistema o di un altro, come ricorda Amaducci è ancora una questione di rapporto stretto e personale con la macchina.
Anna Maria Monteverdi http://www.ateatro.it/olivieropdp/ateatro81.htm#81and47 (2005)
Il video. L’immagine elettronica creativa.
Il video. L’immagine elettronica creativa, opera dello studioso e video-artista Alessandro Amaducci - autore che lavorando per anni all’Archivio Cinematografico della Resistenza di Torino ha avuto modo di operare e riflettere direttamente sulla natura e la forma dell’immagine elettronica, realizzando sia scritti critico-teorici sull’argomento (Banda anomala. Un profilo della videoarte monocanale in Italia e Passo uno. L’immagine animata dal cinema al digitale), sia opere creative in video (Solo per i tuoi occhi, 1996; Cattedrali della memoria, 1995; Voci di donna, 1993) – è un testo agevole (breve e di facile lettura) che cerca, proprio in virtù della cultura e della formazione del suo autore, di unire ad un approccio essenzialmente teorico-informativo (necessario, visto le trasformazioni radicali che le immagini elettroniche introducono nel linguaggio audiovisivo) una riflessione sulla “nuova creatività”, che le possibilità tecnologiche attuali permettono di realizzare sempre più facilmente e agevolmente.
Opera dunque composita e sfaccettata, lo scritto di Amaducci si presenta come un prodotto inequivocabilmente ibrido – così come le immagini video di cui tratta del resto – al crocevia fra l’essere un manuale introduttivo sul video (ricco di dettagli ed accorgimenti tecnici e specialistici sul “come funziona” e “come si usa” la telecamera, il mixer, ecc.) e il tentativo di porsi come nuova frontiera per un uso consapevolmente creativo ed espressivo delle immagini elettroniche.
Il volume si articola in 8 capitoli, sei di questi, che stabiliscono la struttura fondamentale dell’opera, sono dedicati ciascuno alla presentazione ed illustrazione di uno degli elementi o degli strumenti costitutivi del linguaggio video (Il monitor, Il videoregistratore, La telecamera, Il montaggio, Il mixer video, Il suono), mentre gli altri due, rispettivamente il primo (L’immagine in movimento) e l’ultimo (Preparare un video), promuovono entrambi una forte e precisa estetica nell’utilizzo delle immagini elettroniche che risiede, secondo l’autore, nella componente individuale, irrazionale ed onirica che questo nuovo tipo di immagini riesce, potremmo dire « ontologicamente », a realizzare (« Con gli occhi chiusi sommersi da ore e ore di film e di programmi televisivi, adesso avete deciso di usare le immagini in movimento. L’unico motivo per cui lo fate è usare la vostra fantasia. Se volete esprimere voi stessi liberamente dovete partire da voi stessi. […] Cominciate dai vostri sogni, e poi usate la tecnologia »; sono queste le parole, a nostro avviso, « manifesto », con le quali il libro si apre).
L’opera esplora quindi il territorio dell’immagine video indagandone la natura essenziale, il suo essere al tempo stesso la copia analoga “punto per punto” del referente reale e la sua continua deformazione e distorsione (gli effetti lungamente analizzati del monitor-specchio, della neve, dei disturbi di segnale, dei magneti, del feedback, ecc.), fino alle forme creative complesse della videoarte. In tal senso, opportuni e favorevoli ad una chiara ed approfondita lettura risultano essere le immagini poste al centro del volume, che riproducono gli effetti e le possibilità espressive ottenibili specificamente con la tecnologia digitale, come gli intarsi in luma key o in chroma key, gli effetti mirror, le finestre, il loop e le tante altre possibili elaborazioni d’immagine.
Il video. L’immagine elettronica creativa si pone dunque come uno strumento importante per affacciarsi sui nuovi orizzonti aperti dalle tecnologie riproduttive elettroniche. Orizzonti vasti ed interessanti per intendere sia le nuove forme, metodologie e teoriche connesse al rinnovato statuto delle immagini audiovisive, sia per afferrare, fin da subito, l’alto valore creativo e l’ampia possibilità espressiva e comunicativa a loro sottesa.
Per tutti quelli che vogliono continuare ad usare le immagini come forma artistica e comunicativa, seguendone i percorsi nel loro presente e nel loro prossimo futuro.
http://www.educinema.it/index.php?page=article&ida=57
Videoimago.
L'inquieto Paolo Gobetti, di classe partigiana combattente, attivo a Torino nella storica costituzione di una rete di cineclub operai, traduttore e saggista di classici del cinema, tra gli ideatori e fondatori dell'Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza nel 1966, è il direttore responsabile de Il nuovo Spettatore. QUesta curiosa collana della Franco Angeli Editore prsegue oggi tenacemente l'attività critico-esplorativa iniziata alla fine degli anni '50. L'ultima uscita è l'utilissima miscellanea, curata dal tandem Amaducci-Gobetti, cheoffre uno spaccato intelligente e complesso dell'area video. Video Imago è un testo guida per tour non effimeri nel mondo del pensiero elettronico anche internazionale, grazie alla selezione di saggi non invecchiati dal tempo e non ancora tradotti in italiano. Utile la bibliografia e molto denso il saggio di Alessandro Amaducci "L'immagine scatenata", che rivela di questo autore-organizzatore tra i più giovani un'intensa anima riflessiva. Massiccia la presenza di teorici francesi (Virilio, Quéau, Duguet, Couchot), newyorkesi (Brigham, Gever, Turim) e interessanti contributi di videoartisti (Callas, Vasulka, Viola, Wright).
Ninì Candalino, Il Manifesto, giovedì 24 febbraio 1994
Una lacuna è stata colmata. Le "immagini nuove e vecchie" del televisore e del monitr hanno finalmente trovato spazio in un accurato e completo volume di oltre 400 pagine. L'argomento è delicato, sia per la sua amiezza sia perchè la tecnologia e la cultura dell'immagine eletronica non hanno ancora pienamente espresso le proprie potenzialità. Per questo risultano più affascinanti i contributi di esperti del settore, da Marita Sturken a Florence De Méredieu, e di artisti, come Bill Viola e Woody Vasulka. Perché rendono evidenti quali sono le implicazioni concettuali, presenti e future del complesso universo video, che va dall'immagine digitale alla videocreazione, dalla videoarte alle videoinstallazioni alle realtà virtuali.
A coordinare la monumentale operazione sono stati il giovane videomaker Alessandro Amaducci e Paolo Gobetti, direttore dell'Archivio Nazionale Cinematografico dela Resistenza. (...)
Questo è sicuramente uno dei pochi libri che deve leggere chi vuole accostarsi alle esperienze video non solo superficialmente, ma cercando aignificati e motivazioni più profonde.
Domenico De Gaetano, Informagiovani, Gennaio-Febbraio 1994