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- CHE FINE HA FATTO BABY LOVE? FA PARTE DI UN CICLO DI VIDEO, CHE TRA L'ALTRO NASCE SUBITO DOPO UN'ALTRA SERIE, QUELLA DI SPOON RIVER. DA COSA NASCE QUESTA ESIGENZA DI SERIALITA', DI ARTICOLARE UN DISCORSO VISIVO IN PIU' EPISODI?
Nasce da una sorta di contraddizione, nel senso che sono sempre stato convinto del fatto che i linguaggi, chiamiamoli così, sperimentali, hanno bisogno di tempi brevi, mentre col tempo si è  rafforzata in me l'esigenza di gestire contenuti più articolati, e quindi muovermi sulla lunga durata. Spoon River risponde a questa esigenza, nel senso che rappresenta il tentativo di fare un classico "lungo", di settanta minuti, strutturato attraverso la combinazione di una serie di corti, che è l'unica maniera, secondo me, di poter gestire l'attenzione del pubblico di fronte ad opere comunque non narrative. Che fine ha fatto Baby Love? sta su questa linea anche se devo dire che la sua struttura è intrinseca al progetto, quello cioé di "rivestire" di immagini un intero cd musicale. In questo caso la struttura seriale è anche funzionale: i singoli videoclip (come nel caso di questa antologia) possono avere una vita autonoma rispetto all'opera completa, che in tutto dura cinquanta minuti. E poi c'è anche un discorso di fruizione: io ho sempre immaginato che i miei video debbano essere visti su un supporto a casa propria, e non in un festival, insomma mi piace pensare ad un pubblico fatto da una costellazione di singoli, e quindi questa struttura agevola la visione in dvd: aiuta l'ipotetico pubblico a scegliere se vedere tutta l'opera o i singoli episodi, a gestire insomma la fruizione dell'opera stessa.

- SEI TRA I POCHI AUTORI ITALIANI CHE E' ANCHE UN TEORICO DEL VIDEO, AVENDO SCRITTO DIVERSI LIBRI E INSEGNANDO ALL'UNIVERSITA'. QUANTO INFLUISCE NELLA TUA ESTETICA QUESTA DUPLICITA' DI PUNTI DI VISTA?
Le due cose si sono sempre alimentate a vicenda. Da quando ho abbracciato l'idea di usare il video e poi il digitale mi sono sempre chiesto perché: e in che cosa questi mezzi mi allontanano o mi avvicinano dal loro parente più stretto, il cinema. Se vuoi questo atteggiamento è figlio anche del fatto che ho imparato queste tecnologie da autodidatta, e quindi sono andato a cercare nelle tecnologie quei fattori formali che più mi interessavano per avere un approccio alla visione di un certo tipo. Questo fa sì che la tecnica e l'estetica siano due movimenti del pensiero che procedono di pari passo. Fare e teorizzare per me sono la stessa cosa, sono due aspetti della creatività che si aiutano l'un l'altro. L'insegnamento l'ho sempre pensato come uno scambio: è sempre interessante essere in contatto con persone più giovani e con il loro mondo, i loro immaginari.

- TU HAI INIZIATO A REALIZZARE VIDEO DAGLI ANNI '80, QUANTO E COME PENSI SIA MUTATO IL TUO APPROCCIO E IL TUO STILE, ANCHE RISPETTO ALLE MODIFICAZIONI E ALLE EVOLUZIONI TECNOLOGICHE ED ESTETICHE?
Beh, in realtà il mio primo video  del 1989, quindi facciamo che ho iniziato negli anni Novanta... Diciamo che ho vissuto, tecnicamente ed esteticamente, il passaggio dall'analogico al digitale, dalle centraline di montaggio ai sistemi non lineari. Tra parentesi, proprio quel passaggio ha fatto sì che per un po' di anni non abbia prodotto nulla, appunto perché stavo imparando e studiando i programmi. Il digitale ha cambiato molte cose, ovviamente, posso dirne un po' a caso. Ha fatto sicuramente rinascere in me la voglia di grafica, di pittoricità: per un po' di tempo ho fatto il fumettista e il digitale ha riaperto quella vena, così come mi ha fatto riscoprire il concetto, se vuoi, di passo uno: l'animazione da un lato, l'elaborazione dell'immagine frame by frame dall'altro, che è un'idea contraria al flusso, tipica dell'analogico. In un qualche modo mi ha riavvicinato inevitabilmente ad una idea di cinema, perché il digitale smonta in effetti qualsiasi vecchio discorso sulla specificità del mezzo, inaugurando una fase veramente nuova, dove anche il cinema digitale non è più cinema, ma qualcos'altro... Se devo dire la verità ancora oggi, se posso, mischio le due tecniche, l'analogico e il digitale, perché l'analogico ha ancora una sua forza, e sta nel fatto che l'incidente tecnologico lì provoca ancora il sorgere di un'immagine, mentre col digitale se sbagli sbagli, e lo schermo diventa nero. Premetto che non sono ancora entrato appieno nel mondo del 3D, e che quindi sto parlando di video digitale, di elaborazione digitale del segnale video, di postproduzione, compositing e via dicendo. E poi il digitale ha anche liberato di più la mia anima musicale: ora dentro uno stesso ambiente operativo puoi gestire con estrema precisione veramente tutto, soprattutto l'audio, che prima invece era sempre molto capriccioso. Ho ricominciato a suonare e ora sto facendo musica col computer, che è una cosa veramente divertente...

-I TUOI LAVORI SONO SEMPRE MOLTO DENSI DI SUGGESTIONI ICONOGRAFICHE, SPESSO RIDONDANTI, "RUMOROSI" IN TERMINI DI COMUNICAZIONE. MI PARE CHE IL TUO PUNTO DI RIFERIMENTO SIA PIU' IL BAROCCO ELETTRONICO DI UN PAIK CHE IL "RINASCIMENTO" DI UN VIOLA. O SBAGLIO?
Mah, non saprei, è sempre difficile giudicarsi dal punto di vista formale... Mi parli di due autori che ho amato per qualche loro video, non nell'intierezza della loro produzione. Non ti so dire se sono sempre stato ridondante o barocco, certo mi piace l'eccesso e il rumore inteso alla Lev Manovich. Mi piace l'overdose percettiva, la vertigine della visione... Certo: Che fine ha fatto Baby Love? è volutamente ridondante perché vuole essere un'operazione "disperatamente" pop, kitsch, ma  un pop distrutto, nevrastenico, dilaniato, uscito fuori da un mondo posto-bellico, da dopo-bomba... Quindi posso capire il paragone con Paik. Già Spoon River per me è un'operazione diversa, lavora sui tempi lunghi, su immagini più nette, ha un ritmo ipnotico, da marea, è un video "umido"; però posso dirti che sicuramente Viola un po' mi annoia, mentre Paik riesce ancora a divertirmi. Parlando di fumetti, dato che il mio maestro è stato Philippe Druillet, un artista che si ispira direttamente alla grafica di Gustav Doré, è probabile che la ridondanza di cui parli derivi dalla frequentazione di quelle immagini.

Bruno Di Marino, Booklet Video in Italy, DVD, Roma, Rarovideo, 2006, pgg. 7-8

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