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Giuseppe Gariazzo, Massimo Causo, Schegge di giovanissimi

Transiti della memoria. Di una memoria recente, di un presente appena trascorso e testimoniato nel suo farsi. E di una memoria che già si è fatta storia tramandata studiata analizzata. I lavori di Alessandro Amaducci sono anche questo. Oltre a videoinstallazioni. Videoarte, espressioni di videodanza in percorsi fra reale e virtuale.
Molti lavori racchiusi in poco tempo (dall’89). E linee formali che si ripresentano, memorie di lotta e di militanza ri-agganciate dal mezzo video. Ricordare le lunghe lotte della classe operaia torinese, “fissandosi” soprattutto su due momenti determinanti, quelli che si verificarono nel 1915 e nel 1973. Viaggiare in tempi lontani/vicini, raccogliere testimonianze di gente uscendo dal tessuto della documentazione sociale tout-court, come avviene nel suo ultimo lavoro, Work in Progress. Dal ’15 al ’73 ad un presente da visitare filmando i luoghi, le fabbriche, che “accolsero” corpi, ora ridotte a scheletri, a piani e enormi stanze distrutte dal tempo. Sono strutture che Amaducci penetra con la steadicam, con movimenti di vertigine che si fermano appena in tempo, prima del vuoto esterno ed estremo, oltre pareti senza più porte finestre: limiti.
È un percorrere gli spazi fino in fondo. E ritornare su di essi. Fino a sfinirli, ma mai del tutto. Succede, nella ricerca video rigorosa dell’autore torinese, soprattutto in un lavoro fondamentale che è Transiti, vagare dentro il corpo deserto di Palazzo Nuovo (la Facoltà di Lettere di Torino) durante il periodo dell’occupazione. Dunque, già uno scarto fortissimo. Filmare il vuoto in un momento di grande “presenza” fisica, e lasciare i corpi delle persone, dei giovani, fuori campo, quasi sempre, salvo un breve attimo, “ridotti” a colonna sonora-suoni-rumori che interferiscono, interferenze hard, come le immagini. Amaducci seziona, autopsia in progress, quel corpo di cemento e di metallo: scale corridoi finestre le scritte. Ancora in steadicam e con un’immagine (tras)curata e livida, con una instabilità necessaria. Percorrere lo spazio: movimento e piani fissi, soggettive...
Materiali documenti testimonianze con-vivono, gli uomini che lottano nelle fabbriche “si ritrovano” dentro esse, dopo le lotte e le sconfitte, tras-portati lì dallo sguardo elettronico ma pulsante di Amaducci. Interferenze, ancora. Tra corpi e voci e tempi. E materie, anche, interferiscono: il video, ma dentro Work in Progress anche frammenti di lavori in pellicola recuperati dagli anni Settanta durante le manifestazioni di piazza (...). Segnali sempre di memoria e di resistenza.


Filmcritica 436, giugno/luglio 1993

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